Mindfulness, jhana e l’ottuplice sentiero

Come si medita… dal punto di vista della TWIM (Tranquil Wisdom Insight Meditation)

Trascrizione della presentazione tenuta domenica 15 gennaio 2023 alle 11.

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Premessa: parleremo solo della meditazione che viene descritta nei discorsi originali di Gotama… come in un corso di cucina napoletana si parla solo di cucina napoletana

Oggi è il primo incontro che facciamo in parallelo al corso di meditazione che partirà giovedì sull’ottuplice sentiero e sull’imparare a meditare, come suggeriscono le sutta originali. E quindi, da questo punto di vista, ci sono alcune premesse da fare. La prima premessa è che tenteremo di meditare come consigliato nei discorsi originali di Gotama., evitando tutte le contaminazioni di altre tradizioni, nobili, ma diverse (yoga, zen, tibet ecc.). È un po’ come se in un corso di cucina napoletana si volessero fare correzioni o integrazioni basate sul fatto che il ragù a Bologna si fa così.

Va bene, però noi facciamo la cucina napoletana.

E quello che chiederò a tutti quelli che partecipano a questo corso è di attenersi a queste istruzioni, almeno per il periodo in cui facciamo il corso, per vedere quello che viene consigliato originariamente da Gotama e per provarlo nell’esperienza personale.

La stessa cosa, oltre che con l’esempio della cucina si potrebbe fare col ballo.

Se facciamo un corso di merengue, sappiamo che la salsa è bellissima, la salsa è simile, però in un corso di merengue si fanno i passi del merengue, non si fanno i passi della salsa.

I passi della salsa li andiamo a imparare in Venezuela, Puerto Rico e Colombia, ma a Santo Domingo, si fa il merengue. Ovviamente va definito quali  sono le cose che sono ancora dentro il merengue e quelle cose che stanno fuori:  un merengue un po’ più veloce, quello che si balla nelle campagne e che spesso viene chiamato “perico ripiao” è ancora merengue, un merengue un po’ più lento fino a un certo livello è ancora merengue, ma se diventa troppo lento diventa bolero e non è più la stessa cosa.

La stessa cosa capiterà qui, ma anche nella cucina. Se io faccio un corso di cucina napoletana, non c’è spazio per parlare del ragù alla bolognese, ma c’è spazio per parlare della genovese, perché a Genova non sanno neanche che cosa sia la carne alla genovese che è una ricetta tipica di Napoli che ha questo nome.

Quindi faremo solo meditazione così come descritto nelle sutta, e questo è un primo aspetto.

Per imparare devo partire dalla gioia, non dall’equanimità… per imparare ad andare in bicicletta devo partire dall’equilibrio, non dal pedalare

Il secondo aspetto che presenteremo è questo: molte delle mistificazioni che sono state fatte sulla meditazione originaria sono state fatte tentando di interpretare quale poteva essere il punto d’arrivo.

E tentando di velocizzare l’approdo al punto d’arrivo.

Non so se voi ce l’avete presente, ma oggi è difficile vedere bambini con i tricicli. Per quale motivo? Perché si è scoperto che i bambini imparano ad andare in bicicletta molto più velocemente se gli vengono dati invece che il triciclo in cui pedalavano, ma non imparavano a tenere l’equilibrio, queste biciclette senza pedali, in cui imparano a tenere l’equilibrio, anche se non stanno imparando a pedalare.

E questo qui è uno dei problemi che si è verificato nel corso dei secoli con la meditazione buddista. Siccome bisognava arrivare all’equanimità, a questo stato di bilanciamento distaccato dalla vita, molti hanno deciso che si doveva insegnare a meditare con un atteggiamento equanime, ma la posizione iniziale per imparare a meditare era già stato individuato da Gotama. Ed era la gioia.

Cosa ci dice Gotama? E ce lo dice chiaramente nella MN 36, io spesso e volentieri in questi corsi andrò a citare delle sutta e in genere le sutta si citano iniziando col nome della raccolta… un po’ come nei nostri vangeli dire il vangelo di San Luca, di San Giovanni, di San Matteo. Qui si parla delle Nikaya.

Le Nikaya sono le varie raccolte. In questo caso, qui parliamo della Majjima Nikaya (MN) 36 , che è una delle raccolte principali. E in questa sutta lui parla di quando si illumina e lui cita chiaramente  che la sera in cui si è illuminato aveva pensato: “ma non è che la soluzione del problema della sofferenza sia già in quel ricordo di quando ero bambino, sotto un albero di mele rosa, e stavo benissimo? Sorridevo, Mi sentivo bene, eccetera.”

Noi per accedere ai vari stati d’animo descritti nelle jhana dobbiamo passare attraverso la coltivazione della gioia.

Non attraverso la coltivazione dell’equanimità, non attraverso la coltivazione della Compassion.

Queste saranno cose che saremo in grado di coltivare per bene e di provare per bene e di capire per bene se siamo passati dalla gioia. Se tentiamo di arrivarci direttamente o passarci da altri lati non è la strada consigliata da Gotama.

I jhana nella TWIM richiedono una concentrazione aperta e sono trasformativi

Un altro aspetto, che avevo già anticipato nella presentazione al corso fatto domenica scorsa è che la meditazione descritta da Gotama richiede di fare tante cose, tutte insieme:

Io devo essere contemporaneamente consapevole del corpo, consapevole delle sensazioni, consapevole delle emozioni, consapevole degli oggetti mentali.

Perché fare tante cose tutte insieme mi permette intanto di essere pienamente presente alla vita, e mi permette di raggiungere un tipo di concentrazione che è diverso da quello che posso ottenere se tento di stare  concentrato esclusivamente su questo puntino, questa nimitta.

Questo è importante. Perché alcuni livelli di meditazione si possono raggiungere solo attraverso la concentrazione.

E questa concentrazione si può trasformare in un cambiamento nel mio modo di vivere, nel mio modo di vedere le cose, solo se la meditazione è il più vicino possibile alle condizioni della vita di tutti i giorni.

Nel momento in cui io faccio una concentrazione troppo chiusa per escludere tutto il resto ecco che il rumore mi dà fastidio.

Se arriva una zaffata di un odore troppo intenso mi dà fastidio. In pratica vorrebbe dire che io potrei ricreare queste condizioni interne soltanto in situazioni in cui non c’è nessun elemento di disturbo nella vita reale. E non so quanto sia credibile vivere in queste condizioni. C’è chi osserva che  Gotama andava nella foresta a isolarsi dal mondo per raggiungere questi stati di concentrazione. Ok, però dobbiamo anche considerare come veniva descritta la foresta. La foresta nelle sutta originali viene considerata come un ambiente ostile, pieno di animali pericolosi, pieno di briganti, pieno di rumori, fruscii e cose che causano fastidio, ansia e paura.

Non è la foresta controllata dei nostri tempi, che sappiamo che se andiamo in quella foresta non ci sono animali pericolosi perché la forestale ha controllato. Non ci sono serpenti perché è una zona che è stata verificata. Quelle di oggi sono foreste artificiali, sono giardini botanici che non chiamiamo giardino botanico semplicemente perché invece che averci messo un recinto 40 anni fa e averci messo il nome del giardino, il recinto artificiale ce l’abbiamo messo 200 anni fa e l’abbiamo chiamato in un’altra maniera.

Il tipo di concentrazione di cui parla Gotama, un tipo di concentrazione che se io sono in India, ai piedi di un albero in una foresta vergine, con gli occhi chiusi e sento dei rumori sospetti di qualcosa che striscia vicino a me  devo essere consapevole che potrebbe essere un boa o un cobra… e questo non deve turbare la mia concentrazione. Io accolgo il rumore. Fa parte di me. Non stiamo parlando, che andare nella foresta e andare sul cucuzzolo dell’Himalaya dove non c’è niente che mi disturba siano la stessa cosa.

Quale è l’obiettivo della meditazione?

A questo punto c’è da porsi il problema di cosa rientri fra gli obiettivi della meditazione e cosa non rientri fra gli obiettivi della meditazione.

Da questo punto di vista è molto interessante un’altra sutta nelle Samyutta Nicaya, una sutta che si chiama “dopo la morte”.

Perché in questa sutta ci sono due monaci Sariputta e Mahakassapa  (Maha vuol dire grande in pali).

A proposito di pali… i discorsi di Gotama sono stati trascritti circa 600 – 700 anni dopo la sua morte. All’inizio era una tradizione puramente orale. Quanto sono affidabili questi testi?

Premessa: moltissime delle traduzioni del 1 800 o dei primi anni del 1 900 non sono affidabili. In che senso? Nel senso che i traduttori tentavano di metterci il senso che secondo loro era corretto. Negli anni 80 e 90 è partito un movimento di traduttori inglesi, tedeschi, francesi che si è posto il problema di qual era il significato originale delle parole e hanno tentato di iniziare a fare delle traduzioni meno interpretate e più letterali.

E, naturalmente, sono emerse moltissime contraddizioni che prima non erano visibili, perché i traduttori avevano usato la loro interpretazione per rendere tutto coerente. È venuta fuori anche un’altra cosa: grazie alle traduzioni più fedeli, ci si è resi conto che ci sono buoni motivi per credere che la tradizione orale, prima che le Sutta siano state trascritte su carta, fosse stata un’ottima tradizione orale. Perché?

Perché quando Gotama è morto i monaci si sono impegnati a definire, in una trentina d’anni, un canone da memorizzare e  da tramandare.

Poi sono partiti.

Sono partiti in varie direzioni, quelle più importanti, da un punto di vista linguistico, sono il nord, verso la Cina e il sud, verso il resto dell’India.

Naturalmente, poi, quando hanno trascritto su carta, gli uni hanno trascritto in cinese gli altri hanno trascritto in due lingue: il pali, che probabilmente è la lingua più vicina alla lingua originariamente parlata da Gotama, ed il sanscrito che è una lingua che non è mai stata parlata da nessuno, ma che era la lingua scritta dell’alta nobiltà indiana e dei Bràmini, religiosi di alto livello indiano.

Naturalmente, con quello che significava all’epoca, spostarsi, viaggiare, eccetera, quelli che sono partiti verso la Cina non è che tornavano ogni 20 anni indietro a controllare che continuavano a dire le cose in maniera corretta, né quelli che sono andati in giù verso l’India poi tornavano a nord a ricontrollare l’accuratezza della loro tradizione. Quindi il fatto che a distanza di 700 anni, quando sono stati messi in maniera scritta, fondamentalmente le versioni cinesi e quelle in Pali ed in sanscrito coincidessero quasi parola per parola ci può fare ritenere che le sutta siano fedeli ai discorsi originali di Gotama.

Quello che cambiava è che a volte un discorso che era stato messo nelle Majjima Nicaya nella versione pali poi nella agama cinesi sia stato messo nella raccolta Samyutta ma il fatto essenziale è che ci sia una coincidenza di parole impressionante e quando siamo tornati alle traduzioni letterali, e non a quelle interpretate, questa vicinanza è diventata molto più evidente.

Ora, quali sono le cose importanti e non importanti in questa prima sutta che vi leggo?

Intanto, la prima affermazione: di ciò che capita dopo la morte non ce ne deve importare niente.

Sariputta chiede a Kassapa:

“Senti, caro amico, ma dopo la morte, Gotama continuerà ad esistere?”

E la risposta è: “ma da quello che ha detto Gotama, non ha mai dichiarato di continuare ad esistere dopo la morte.”

“Allora non esisterà dopo la morte?” “No, non ha mai dichiarato che non continuerà ad esistere”, “Allora esisterà e non esisterà?”

“Guarda che Gotama non ha mai dichiarato che esisterà e non esisterà” “Allora non esisterà e non cesserà di esistere…” “Non ha mai dichiarato neanche questo. Questa roba qui, non è importante.”

“Ma se tutta questa roba qui non è importante, per quale motivo non ha mai preso posizione su che cosa succede dopo la morte?”

“Perché non ci porta beneficio. È irrilevante rispetto alla nostra capacità di vivere una vita santa e non porta alla repulsione, alla dispassione, alla cessazione, alla pace, alla conoscenza diretta, alla liberazione e al Nibbana. E poiché non serve a questo, non lo ha dichiarato.”

“Invece che cosa ha dichiarato Gotama?” “Ha dichiarato che questo è soffrire, l’origine della sofferenza, che questa è la cessazione della sofferenza e che questo conduce alla cessazione della sofferenza” “E per quale motivo ha dichiarato questo?” “Perché questo è importante per poter vivere felici, perché questo porta alla repulsione, alla dispassione, alla cessazione, alla pace, alla conoscenza diretta, al Nibbana, e quindi, è per questo che l’ha dichiarato.”

Precisazioni: intanto la parola dukkha non vuol dire soltanto sofferenza, ma vuol dire anche insoddisfazione.

La parola dukkha, è un rigonfiamento nella ruota d’un carro. Quindi il carro non va via liscio ma ha un incedere fastidioso ogni volta che il rigonfiamento incontra la strada. E come tale dukkha é una parola che sta in mezzo fra una situazione insoddisfacente, dove il carro beccheggia, e una situazione che crea vera sofferenza.

Quindi queste quattro nobili verità che abbiamo letto, le possiamo leggere anche cosí: “questa è l’insoddisfazione. Questa è l’origine dell’insoddisfazione. Questa la cessazione della insoddisfazione, e questa è la maniera per arrivare alla cessazione della insoddisfazione”

E perché l’ha dichiarato?

Perché se capiamo questa cosa vivremo felici. È abbastanza facile da capire. Ma il resto della promessa quanto è allettante?

Guardiamo quale è la promessa delle varie religioni, quasi dovessimo fare degli spot pubblicitari.

Cosa ci promette l’Islam?

L’Islam è una religione, un po’ maschilista, mi aspetto quindi che le donne qui presenti non saranno troppo attratte… Però per gli uomini la promessa di 24 vergini per l’eternità è una promessa comprensibile ed è una promessa allettante. 24 vergini per l’eternità e, fra l’altro,  molto brave nel soddisfare ogni desiderio maschile.

Il cristianesimo offre una promessa che va bene sia per gli uomini che per le donne. Promette qualcosa di più etereo, un po’ meno terreno: non ci sono le 24 vergini per gli uomini e i 24 vergini per le donne, ma ci sono un senso di amore, di benessere per l’eternità.

Anche questo facile da capire.

Gotama ci promette: disgusto e repulsione, dispassione, cessazione, pace, conoscenza diretta,  liberazione e Nibbana.

Cosa vogliono dire i primi 3 termini? I primi 3 termini vanno inquadrati in una situazione molto umana legata al fatto che tutte le abitudini che ci portano dei problemi sono abitudini che, bene o male, ci piacciono.

Perché sono così grasso? Perché mi piacciono i dolci. Se non mi piacessero i dolci, non sarei così grasso.

Perché anche sta volta non ho finito quella relazione, quel report, in tempo? Ci possono essere vari motivi.  Scegliamone uno per esempio: mi piace troppo studiare e troppo poco scrivere oppure perché mi piacciono troppo i videogiochi piuttosto che scrivere

Quando si parla di repulsione e disgusto, vuol dire avere la capacità di vedere le cose nella loro completezza, quindi insieme al sapore buono del dolce vedo anche l’effetto che mi farà nel corpo, ma lo vedo in una maniera chiara, con chiara conoscenza e quindi provo in contemporanea sia l’attrazione del sapore sia il disgusto dell’effetto sul corpo.

Provo il disgusto per le parti che hanno un effetto meno immediato, ma che sono quelle che poi mi fanno stare male.

La stessa cosa capita per il “a me piace tanto studiare e poco scrivere”. A un certo punto vedo che se continuo a studiare e non scrivo mai quella relazione, non l’avrò pronta, e questo mi causerà vergogna, mi farà sentire male, mi farà dire delle bugie per inventare una scusa di come mai non ho fatto in tempo, eccetera, eccetera.

Però, siccome lo vedo e lo sento in presa reale, insieme alla tentazione di continuare a studiare che mi piace di più che scrivere, posso prendere una decisione più ponderata.

Perché sto vedendo le cose non soltanto in maniera parziale, non vedo solo il sapore della torta, vedo tutti gli effetti della torta.

Non vedo solo la bellezza di studiare. Vedo tutti gli effetti dello studiare e li sento.

Ho smesso di avere una visione parziale e, avendo smesso di avere una visione parziale, sono in grado di prendere una decisione migliore.

Il problema che noi abbiamo è che non tutte le cose che vediamo nella vita sono univoche.

Se tutte le cose che vediamo belle fossero anche buone, fossero anche sane, fossero anche … tutte cose positive, sarebbe facile, e tutte quelle brutte fossero anche cattive, fossero anche ignobili sarebbe facile prendere delle decisioni nella vita. Il problema è che ci sono delle cose che sono belle da vedere, ma hanno un odore cattivo, un sapore così così e causano emotivamente una serie di conseguenze alcune buone, altre cattive, etc. Fino a che noi non riusciamo a vedere una cosa in maniera completa abbiamo difficoltà a fare in modo che le emozioni ci aiutino a fare ciò che vogliamo fare.

E abbiamo difficoltà perché spesso e volentieri ci sarà un misto. Ci saranno delle parti che ci attraggono e delle parti che ci allontanano e le emozioni invece di aiutarci, di sostenerci per fare ciò che vogliamo fare, diventano un ostacolo. Ci bloccano. E quindi noi vogliamo fare delle cose, ma non riusciamo a farle, oppure non vogliamo fare delle cose e le emozioni scelgono per noi e ci tentano: “ Ma dai,  è bello, vai fallo…” E questo qui perché non abbiamo una visione completa delle cose in contemporanea e non riusciamo a non separare i momenti dell’esperienza. Teniamo conto, in questo momento solo degli aspetti belli del mangiare il dolce prima di mangiarlo.

E poi quando ci mettiamo sulla bilancia vediamo solo gli aspetti brutti (non so se l’avete visto su Facebook in questi giorni sta girando una fotografia in cui c’è una bilancia messa in castigo con sotto la voce “fino a che non ricomincerai a dirmi la verità stai nell’angolo del bagno nascosto, ok?”)

Quindi… che cosa è la mindfulness?

Ora, che cosa è la Mindfulness?

La Mindfulness fondamentalmente è una maniera di essere presenti a tutti i miei sensi, a tutti i miei pensieri e a tutte le mie emozioni.

E come tale, prima di esprimere un giudizio sto verificando se tutto le informazioni sono prese in considerazione.

Se in questo momento è attiva soltanto la bellezza di quella torta e il desiderio e l’immaginazione del sapore di quella torta ma non sono attivi il pensiero, gli altri sensi ed emozioni rischio di fare una decisione parziale.

Se invece sono pienamente presente sono in grado di prendere una decisione saggia nel contesto del momento che quindi mi porterà a dire oggi sì oppure oggi no.

Per fare questo, io devo essere in grado di provare disgusto per la parte che non mi piace, disgusto per il mio inventare scuse quando faccio le cose in ritardo, disgusto per l’effetto negativo che non voglio della torta.  Per quale motivo disgusto? Perché fin che l’effetto negativo rimane solo un’idea, non ha effetto su di noi.

La sigaretta mi fa male.

Lo so… Quanto è potente sapere che la sigaretta mi fa male per smettere di fumare?

Quant’è potente sapere che se non mi metto a fare questa cosa qui, ora, non la consegnerò in tempo per imparare ad essere puntuale?

L’esempio che faccio spesso, che però non ricordo dove l’ho letto, è quello del bambino che vede la fiamma e si dice: “Bella, la voglio toccare”. E fino a che non la toccherà e proverà male alla mano continuerà ad essere attratto, anche se tutti gli dicono: “ti bruci, ti farai male”. Una volta che l’ha toccata che cosa capita? Capita la dispassione, cioè non sarà più attratto dal desiderio di toccarla, ma sarà in grado di lavorare col fuoco quando ci deve lavorare, quando deve cucinare, quando deve fare le varie cose senza avere più la tentazione di toccarla. Apprezzerà il fuoco, ma con le giuste cautele. La fiamma rimane bella da vedere, il calore che emana rimane piacevole, ma ad una certa distanza.

Non è più attratto. Non ci sarà più il pensiero: “Se è così bello, se è così piacevole lo devo toccare”. Perché? Perché c’è una conoscenza maggiore, e quando c’è una conoscenza maggiore, a questo punto non siamo più mossi emotivamente dal contatto con la fiamma, la usiamo in maniera normale per fare ciò che è nostra intenzione fare. E a questo punto che cosa succede? Che le emozioni iniziano ad essere usate solo per sostenere ciò che vogliamo fare e non diventano più un ostacolo.

E diventiamo liberi.

Liberi.

Perché? Perché se decidiamo di passare la vita a sostenere questo progetto, passiamo la vita a sostenere questo progetto con le emozioni che ci aiutano a sostenere questo progetto.

Non c’è più questo turbinio emotivo che ci ostacola.

Ed è questa la promessa che ci fa Gotama.

All’interno di questa promessa la cosa più importante è imparare a meditare.

Molti pensano che l’importante della meditazione sia essere concentrati sull’ancora della meditazione. Se l’ancora è il respiro dobbiamo rimanere consapevoli del respiro. Se l’ancora è l’amorevole gentilezza dobbiamo essere solo amorevole gentilezza, senza che ci turbi alcun disturbo, nessuna irrequietudine, nessuna distrazione. Ma un aspetto fondamentale della meditazione è sapere cosa fare quando arriva una distrazione.

Perché la meditazione deve essere un laboratorio nel quale, quando arrivano le varie memorie, le varie preoccupazioni, le varie richieste della vita siamo in grado di esaminarle con più distacco, siamo in grado di esaminarle da tutti i punti di vista, siamo in grado di esaminarle con più profondità. E questo qui ci permette di capire meglio quali sono le nostre condizioni interne e le cose che ci portano a gioire e quali sono le nostre condizioni interne e le cose che ci causano sofferenza o insoddisfazione.

E questo poi lo riportiamo nella vita. Facendo che cosa? Tentando di aumentare i momenti in cui accogliamo la vita con le condizioni giuste.

Faccio un esempio. Prima di tutto, una precisazione: che cosa vuol dire in Pali la parola Sati (ovvero la Mindfulness)? Memoria. Ricordo.

Negli ultimi 2600 anni sono state inventate scuse meravigliose per tentare di spiegare come mai la Mindfulness, la consapevolezza piena del qui ed ora, si chiami memoria, ricordo.

Illustrerò tramite un esempio una delle cose più semplici da pensare a questo proposito.

Pensiamo ad un momento bello della nostra vita. Un momento veramente bello della nostra vita.

Io lo posso affrontare con due modalità diverse:

1. Osservarlo. Godermelo. Usare questo ricordo per coltivare emozioni piacevoli, emozioni espansive. Per cercare in qualche modo di capire: “Guarda, in quel momento ero calmo. Accettavo le cose e le cose passavano e accettavo il passare del tempo. Quindi devo provare a fare queste stesse cose per avere altri momenti così nella mia vita.”

2. Avere pensieri tipo: “Cacchio! Come era bello quel momento, un momento così non tornerà mai più… Ah, se potessi essere ancora così, ma come era bello quando avevo 5 anni, nessuna preoccupazione. Mamma e papà ci pensavano loro: Ah… Che meraviglia! Ma io so che un tempo cosí non tornerà più… È finito.”

Quale è la differenza fra i due pensieri?

Uno è espansivo e l’altro contrattivo.

Il secondo porta ad emozioni negative, tristezza, malinconia e l’altro no.

E in particolare, qual è la emozione principale che causa la differenza fra le due?

Nella prima, c’è la gioia, nell’altro caso c’è la malinconia, c’è rimpianto, tristezza e soprattutto attaccamento.

In un caso io sto rivivendo la memoria con un certo distacco, nel senso che non c’è l’attaccamento.

Non c’è la voglia di tornare a quel tempo. Non c’è il rimpianto per com’era finito.

Quindi, in un caso non c’è l’attaccamento e l’assenza di attaccamento mi permette di evocare la memoria, rivivere bene la gioia e rivivendo bene la gioia studiare quali sono le condizioni mie interne che mi possono permettere di rivivere bene in futuro altre situazioni.

“Guarda li, se non ci metto attaccamento, se ci metto questa serenità, se guardo le cose così, ecc. Potrò avere altri momenti di gioia anche in futuro.”

Nell’altro caso intanto c’è una concentrazione puntuale, “Era quello il momento bello …”, e poi c’è l’incapacità di studiare bene quel momento, di capire quel momento, che cosa potrebbe significare per la mia vita ora, perché lo rivoglio.

C’è il desiderio e l’attaccamento che mi tengono incollato a un passato che ormai è passato.

Tentare di capire che cosa sia la vita senza desiderio e senza attaccamento e tentare di capire perché Gotama ce l’ha così tanto col desiderio, e l’attaccamento nella vita di tutti i giorni può essere complicato, ma capirlo nella meditazione è facile: se io coltivo quella memoria in questa maniera riprovo la gioia e mi alleno a riprovare gioia nel resto della mia vita. Se io l’affronto con attaccamento scompare la gioia, appaiono altre emozioni contrattive… “L’attaccamento mi fa male…”

Ci sono delle cose che sono più facili da capire nella meditazione che nella vita di tutti i giorni e ci sono delle cose che sono più facili da capire nella vita di tutti i giorni che nella meditazione. Per questo motivo noi intraprendiamo questo ciclo virtuoso di evocare le memorie e vedere come usarle nella vita e viviamo per poi creare nuove memorie che andremo ad evocare nella meditazione e che ci permetterà di vivere meglio. Una cosa alimenta l’altra. È un ciclo di apprendimento continuo che ci permette di capire come meditare col sorriso e come vivere con sempre più momenti di gioia e sempre meno momenti di sofferenza a parità di condizioni esterne.

Riprendo un altro aspetto in parte già trattato: un altro degli errori che è stato fatto nella meditazione tradizionale rispetto alla meditazione così come presentata nelle sutta è legata alla contemporaneità di cose da fare mentre meditiamo e alla contemporaneità e alla sequenzialità dei concetti che presentiamo quando noi parliamo, ragioniamo, eccetera. Siamo costretti a parlare una cosa per volta. Io non posso dire 150 parole contemporaneamente. Conosco alcune persone che sembra che lo facciano, ma se mettiamo il registratore a rallentatore, vediamo che anche quelle persone lì che parlano come delle mitragliatrici parlano una parola per volta… ora e da questo punto di vista quando Gotama parla di cosa vuol dire meditare (Satipattana sutta, Majjima Nicaya 10): vuol dire coltivare le 4 fondamenta della Mindfulness.

La consapevolezza del corpo, la consapevolezza della sensazioni, la consapevolezza delle emozioni, la consapevolezza degli oggetti mentali e descrive 5 o 6 modi di avere consapevolezza del corpo, un unico modo di avere consapevolezza delle sensazioni, anche se in realtà, secondo alcuni sono due , ma questo lo vedremo meglio, i giovedì, un solo modo di avere consapevolezza delle emozioni, e poi di nuovo, una decina di metodi diversi, di avere consapevolezza degli oggetti mentali.

Quindi molti che cosa fanno oggi? Facciamo consapevolezza del corpo, e facciamo solo consapevolezza del corpo.

Oggi facciano solo consapevolezza delle sensazioni. Oggi facciamo… e hanno separato queste cose.

In realtà le cose vanno fatte insieme. Dove ne abbiamo la prova? Che quando poi Gotama va a descrivere meditazioni più specifiche sono meditazioni in cui si mescola tutto. La famosa meditazione del respiro, MN 118, parte con “noto se il respiro è breve oppure se è lungo, poi inizio a tranquillizzare (rilassare) le contrazioni, poi inizio a provare gioia, poi dopo piacere, poi dopo desideri o meglio atti volitivi mentali, poi la tranquillizzazione degli atti volitivi mentali, poi la mente, poi il rilassamento della mente. Poi… sono sedici passi in cui, ovviamente, dopo aver osservato il respiro ed il corpo le altre ancore sono sensazioni, emozioni ed oggetti mentali.

Quando va a descrivere nella MN 119 la Mindfulness del corpo, cosa ci inserisce?

Ci inserisce fra le varie tipologie di Mindfulness del corpo anche l’andare in jhana, e quindi il provare grande gioia, provare grande affetto… ma per fare questo ci vogliono sensazioni, emozioni ed oggetti mentali (ricordi).

Quando parla dell’amorevole gentilezza intanto dice: “dopo che hai raggiunto uno stato tranquillo”. Quindi, dopo che hai fatto le prime tre fasi della Satipattana, fai questo e fai quest’altro…

Non esiste una meditazione che sia solo del corpo, che sia solo dell’emozione, ma è la capacità di tenere tutte queste insieme che poi può portare alla liberazione.

Ed è chiarissimo nelle descrizioni.

Perché alla domanda: “come faccio ad arrivare alla liberazione?”

La risposta rituale e ricorrente in più Sutta è “quando applichi le quattro fondamenta della Mindfulness, i sette fattori di illuminazione, le 5 condizioni… E quando tutte queste 37 condizioni  insieme saranno presenti in te allora sarai liberato”

D’altronde quando ballo il merengue, non posso pensare di muovere solo i piedi tenendo ferma l’anca e tenendo le braccia a fare quel che vogliono devo coordinare movimento di piedi, anca, busto, mani e testa in una certa maniera. Altrimenti non è mereangue.

La stessa cosa capita come quando cucino: non è che posso pensare soltanto ad un ingrediente. Se non mescolo tutti gli ingredienti, non viene quella ricetta.

Questa cosa che ci consiglia Gotama, alla fine, è una cosa semplicissima da fare: perché facendo tutte queste cose insieme in pochi giorni si può arrivare alla liberazione.

Se io le faccio tutte separate, non funziona. Diciamo che io sia bravissimo a mettere il basilico sulle pietanze. Però, se l’unica cosa che io faccio, dentro una grandissima cucina, è passare a mettere il basilico non sono un cuoco. Sono un basilicaio (non so come chiamarlo), ma non sono un cuoco.

Il cuoco è quello che prepara la ricetta dall’inizio alla fine. O al limite che riconosce quali sono i passi fatti bene dai suoi aiutanti, per poi mettere tutto insieme.

E questa qui é l’ultima dimensione importante e non è così complicato.

C’è un’ultima cosa da dire. E qui, naturalmente, c’è una difficoltà.

Se noi andiamo a Napoli, la maggior parte delle persone sa cucinare bene la cucina napoletana, perché la vive fin da bambino.

In qualche modo si rischia di riconoscere facilmente la differenza fra una ricetta napoletana preparata da un napoletano, ed una ricetta napoletana preparata da un fiorentino.

Se io vado nella migliore scuola di tango di Firenze e dovessi imparare, io che sono negato, e poi vado in Argentina comunque si noterebbe la differenza fra chi ha imparato a ballare il tango in una scuola all’estero e chi ha imparato a ballare il tango immerso nel giusto ambiente fin da bambino.

E la stessa cosa vale per il merengue. Ora il marengue è molto più facile del tango, il tango è molto più complicato, però si vede, si vedono le differenze.

Perché ci sono alcune cose che a scuola sono difficili da imparare.

Il fatto che quella foglia di basilico sia meglio di quell’altra, perché ha la dimensione giusta, il verde giusto, la fragranza giusta, eccetera, è molto più facile che lo impari inconsapevolmente da bambino perché gliel’ho visto fare alla mamma.

Il fatto che su quella ricetta ci vogliono questi tipi di zucchine e queste altre no, è più facile che lo riconosca se da bambino l’ho visto fare alla mamma o a papà o a nonna o a chi comunque cucinava in casa.

A scuola imparo che ci vogliono le zucchine. Vado e compro le zucchine e magari faccio la domanda sbagliata: “Quali sono le zucchine più buone?”

Il fatto che siano le più buone non vuol dire nulla se non considero il contesto della ricetta in cui le devo usare: per alcune ricette sono migliori quelle magroline e lunghe, per altre ricette sono migliori quelle tonde. E questa sensibilità al contesto è un sensibilità che è difficile da imparare a scuola ed è facile da imparare se l’ho vista applicare tutta la vita, anche se poi non lo so spiegare.

Ora, siccome noi attualmente non abbiamo nessuno che sia vissuto 2 600 anni fa. Quindi  che cosa faremo nel caso di interpretazioni dubbie?

Ci rifaremo all’interpretazione di chi sa cucinare meglio.

In caso di interpretazioni dubbie, andremo a vedere qual è l’interpretazione di chi meditando, riesce a raggiungere già degli stadi alti e riesce già a fare delle cose meditative di livello più elevato

Perché? Perché purtroppo non siamo riusciti a nascere in un periodo in cui alcune cose le abbiamo viste in casa. Allora ci rifacciamo a quello che apparentemente è più bravo.

E la valutazione di quello più bravo la facciamo su due livelli:

– Sia sulla dimensione meditativa: come medita, quali esperienze raggiunge nella meditazione

– Sia sul livello più fondamentale di quanto questa persona appaia libera, cioè quanto questa persona, nella vita di tutti i giorni, sia aiutata e supportata dalle sue emozioni o sia ostacolata dalle sue emozioni.

In questo caso sto pensando a tre persone in particolare che mi vengono in mente, che sono, Delson Armstrong, Banthe Vimalaramsi e David Johnson. Per cui anche quando la loro interpretazione della parola in Pali dovesse essere discutibile, siccome la loro esperienza, per me, è di grande valore, in alcuni casi interpretativi, porto la loro esperienza, non la mia. A scanso d’equivoci.

Va bene, se ci sono domande, però questo qui è un pochino quello che affronteremo giovedì quando inizieremo a vedere come mettere insieme per bene le quattro fondamenta della Mindfulness.

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