Mindfulness, jhana e l’ottuplice sentiero

Le quattro Nobili Verità… dal punto di vista della TWIM (Tranquil Wisdom Insight Meditation)

Trascrizione della presentazione tenuta domenica 22 gennaio 2023 alle 11.

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Premessa: le Quattro Nobili Verità ovvero come far capire la via per la cessazione della sofferenza e della insoddisfazione anche quando a prima vista pare una via molto difficile…

Buongiorno a tutti. Oggi parliamo di che cosa sono queste 4 Nobili Verità. In realtà parliamo anche della difficoltà che ha avuto Gotama a spiegare quello che aveva raggiunto, trovato, scoperto.

Molto probabilmente se Gotama fosse stato uno neuro-scienziato dei tempi d’oggi, avrebbe voluto spiegare con assoluta precisione il suo messaggio dicendo: “Guardate che per non soffrire basta raggiungere un equilibrio specifico fra dopamina, ossitocina e cannaboidi cerebrali, in modo tale da deattivare la corteccia cingolata posteriore (CCP) e da creare con l’encefalogramma delle onde di un certo tipo” questo sarebbe stato incredibilmente preciso, ma la maggior parte della gente l’avrebbe guardato e gli avrebbe chiesto: “Ok…e allora? Come si fa?”

Lui non è andato su una spiegazione neuro-scientifica di questo tipo, che è una spiegazione scientifica molto precisa, perché tutti quelli che raggiungono quello stato sono felici, almeno in quel momento, quindi se uno lo riesce a raggiungere permanentemente… va tutto bene.

Lui quando si è illuminato quello che ha osservato per una settimana nel suo godimento di questo incredibile benessere sono stati i dodici anelli dell’origine dipendente.

E ogni volta che ha provato a spiegarlo a neofiti, persone che non erano già incamminate nel suo percorso, quasi tutti l’anno guardato come a dire: “Ok, e allora?” e questa difficoltà a spiegare quello che lui aveva trovato, questa sua soluzione al problema della sofferenza, ha trovato una prima formulazione compresa anche dai neofiti con la formulazione delle quattro Nobile Verità, cioè le quattro Nobili Verità non sono la formula più precisa che lui ha mai trovato per riuscire a descrivere la sua scoperta di come superare la sofferenza ma è stata la prima formula che finalmente altri hanno capito e come tale è importante.

La vita e la ricerca di Gotama: si può porre fine a questo stato di continua insoddisfazione e/o sofferenza che caratterizza la condizione umana?

Ma partiamo con ordine… Gotama nella tradizione era il figlio di un re che a un certo punto ha rinunciato al trono per andarsi a fare monaco viandante per trovare la soluzione al problema della sofferenza. 

Già in questo mito ci sono alcune imprecisioni perché suo padre non era veramente un re, ma era il capo eletto di un’oligarchia di nobili. Quindi in realtà non è vero che lui era l’erede designato, perché alla morte del padre ci sarebbe stata un’altra elezione fra i nobili, dove sarebbe stato scelto il nuovo re. 

Inoltre in quel periodo, la scelta fatta da Gotama era molto diffusa, ma più in là negli anni. Se la  vita media era di 70 anni, capitava spesso che il cinquantenne, che ormai aveva vissuto la sua vita,  abbandonasse la famiglia o per sempre, o per qualche anno, per andare a fare il monaco viandante per vedere se trovava qualche risposta più profonda al problema del significato della vita o di qualcosa del genere.

Quello che è capitato a Gotama è che questa scelta l’ha fatta appena avuto il primo figlio Rahula, e quindi l’ha fatta, diciamo, un 15 – 20 anni prima di quello che era consuetudine perché aveva l’intuizione di essere già sulla buona strada, con tutte le sue riflessioni filosofiche ed osservazioni della realtà. Era convinto che gli altri stessero cercando qualcosa che era leggermente sbagliato e che lui aveva imboccato, col ragionamento e l’osservazione della società, il cammino corretto. Nonostante ciò, in questi 6 anni di ricerca, si affida a vari maestri di varie pratiche, ma con una chiarezza fondamentale dentro di sé: lui voleva arrivare a non sentire più la sofferenza.

Quello che non era sicuro, era se il non sentire più la sofferenza, avrebbe voluto dire, in automatico, sentire la felicità o il distacco da tutto o qualcos’altro. 

Però sapeva che cosa non doveva esserci più.

Permettetemi di notare che riuscire a risolvere il problema in soli 6 anni, tanto di cappello. Cioè, doveva essere un genio. E lui, in questi 6 anni, che cosa fa? La prima cosa che prova è la via della meditazione nella forma in cui già veniva praticata.

Va da due maestri importanti nella sua zona. Lui era il principe di una zona nel nord dell’India, ai piedi del Tibet. Quindi viveva in pianura, ma dalla sua zona già si vedevano le montagne che in lontananza si alzavano. Veniva da uno stato piccolo, in mezzo a stati più potenti, dove suo padre era il “Presidente regnante” o qualcosa del genere (era il re eletto dall’assemblea dei nobili). 

Prova la via della meditazione, ma la via della meditazione non è soddisfacente.

Non è soddisfacente perché quella meditazione che gli avevano insegnato gli permetteva di raggiungere degli stati meravigliosi mentre meditava, ma appena smetteva di meditare tornava quello di prima. Cioè, non c’era una eradicazione della sofferenza o una riduzione della sofferenza che durasse per periodi di tempo significativi fra una meditazione e l’altra.

C’erano altri filosofi viandanti che sostenevano che invece il male nel mondo fosse dovuto al desiderio, alla corruzione, eccetera, eccetera, e che la via per raggiungere la cessazione della sofferenza era tramite la rinuncia e quindi lui fa tutti questi percorsi di rinuncia, alla fine dei quali sta quasi per morire da tanto ha digiunato, da tanta ha rinunciato a bere o ad altro… Però la sofferenza la continua a sentire. Magari una sofferenza più fisica che etica però lui non aveva intrapreso questo percorso per passare da una sofferenza morale ad una sofferenza fisica: lui voleva eliminare la sofferenza. Quindi anche questo percorso qui non va bene.

Ricomincia a mangiare, si ripone il problema finché dice: “Mi piace quell’albero lì con quell’ombra di fronte al fiume. Ora mi siedo lì fino a che non ho risolto il problema non mi alzo più” 

Doveva essere un po’ testardo. E all’inizio inizia con i metodi di meditazione che aveva imparato qualche anno prima del periodo delle rinunce. E anche lì ripete la stessa esperienza: bellissimo meditare così, ma finita la meditazione di nuovo tornava come prima.

La soluzione sta nell’accettare la vita con gioia ed agire gioiosamente nel rispetto dei propri valori

Si ricorda di un momento magico che aveva vissuto da bambino sotto un albero di mele rosa.

E si chiede “Non è che sarà questa la via?” Quindi prova ad adattare la meditazione che aveva imparato dai vari maestri di origine e di tradizione brahminica indiana a quella condizione di grande gioia ed apertura e serenità che aveva vissuto da bambino. E attraverso questo percorso, gli capita qualcosa di strano. Intanto riesce a raggiungere attraverso una strada completamente diversa, cioè una strada che richiede, il sorriso, che richiede serenità, che richiede una concentrazione ottenuta tramite apertura di tutti i sensi e non tramite una concentrazione chiusa, quegli stati di benessere assoluto che aveva trovato nella meditazione brahminica, con due differenze: 

– è una meditazione, in un certo senso, molto più “ricca ed agitata”. Perché? Perché alla fine gli iniziano ad arrivare una serie di pensieri che in quell’altro tipo di meditazione non arrivavano mai. Gli arriva la chiara risposta a quel problema che s’era posto dell’origine dipendente. Che cosa aveva notato? Che ci sono delle concatenazioni di fatti che avvengono in maniera automatica: quando sorge questo, poi sorge quest’altro. Quando sorge quest’altro, poi sorge quest’altro… e ha visto con chiarezza quali erano, appunto, i dodici anelli dell’origine dipendente, cioè quali sono le condizioni  interiori, quando io mi pongo di fronte a qualunque situazione della vita, che porteranno a sofferenza. E si rende conto che basta interrompere uno di questi dodici anelli per non soffrire, perché tutti e dodici devono essere presenti affinché ci sia sofferenza e o insoddisfazione. (La parola dukkha è una parola che sta da qualche parte fra insoddisfazione e sofferenza, semmai più vicina a insoddisfazione, anche se la traduzione più comune è sofferenza). Poi ri-analizza le vite, quelle che potevano essere le sue vite anteriori, cioè le vede nella sua mente… che poi fossero le vite anteriori o semplicemente un rivedere tante vite per vedere quando portavano insoddisfazione, sofferenza e quando invece erano felici. Questa è un’esperienza psicologica. Ed ha questa esperienza. Poi rivede la vita di tutte le persone che conosce e anche qui nota quale concatenazione di fatti porta alla sofferenza e quale concatenazione di fatti, invece, porta a stare bene. E mentre vede tutte queste immagini sta benissimo. Quindi già la meditazione è completamente diversa da tutte quelle che aveva vissuto prima, perché in tutte quelle che aveva vissuto prima non c’erano tutti questi pensieri che emergevano e che non erano pensieri che andavano a disturbare la meditazione ma che l’arricchivano di significato. 

– È una meditazione che porta alla trasformazione della personalità. Infatti quando esce dalla meditazione sta divinamente bene. Un divinamente bene che è molto particolare perché in realtà Lui si rende conto di essere completamente libero, cioè di non avere più attaccamenti a dei desideri che lo distraggono dal fare le cose che vorrebbe fare. Tutti quanti noi abbiamo voglia di avere dei comportamenti che poi non portino senso di colpa, vergogna, ripensamenti… Poi in realtà vi sono delle tentazioni, dei desideri, eccetera, che distraggono.

Vorremmo perseguire quella cosa giusta, ma molto spesso queste distrazioni sono molto più forti del nostro desiderio di fare la cosa giusta.

E a volte, quando facciamo la cosa giusta, comunque la facciamo pensando “Ah! Ma quanta voglia ci avevo di fare quell’altra cosa.” E lui, invece, in quel momento si rende conto che queste tentazioni, che lui invece chiama manette, lacci, perché avverte, finalmente, di essere libero di fare ciò che desidera fare senza essere condizionato e portato a fare altre cose. Queste manette non ci sono più. A quel punto dice: “wow! Stavolta anche fuori dalla meditazione solo in una condizione come quella raggiunta nella meditazione! Questa è la liberazione!” ed è convinto di aver trovato la strada.

Come si spiega un’esperienza?

Ora, una volta che si convinse di aver trovato la strada, il nuovo problema era come spiegarlo.

È ovvio che io non conosco nessuno che sia definitivamente liberato, però conosco tante persone che dopo una meditazione hanno avuto delle intuizioni, o che hanno iniziato a vedere nella loro vita, chiaramente delle cose: “ho capito che se facevo così, poi sarebbe partito una discussione enorme, quindi mi è venuto naturale di fare quest’altra cosa… E ha funzionato.”

Questa è una cosa che quando capita io, spesso, dico: “Quindi hai visto l’origine dipendente in azione?”

E l’altro mi guarda, “Può darsi. Se lo dici tu.” In realtà, c’è questa capacità di capire se vado lì, emergerà una litigata, emergerà sofferenza emergerà pentimento, emergerà vergogna…

Mentre quasi tutti hanno la capacità di vivere l’origine dipendente, non tutti hanno la capacità di capire analiticamente che hanno appena vissuto l’origine dipendente.

Gotama non solo era in grado di viverla, ma era in grado anche di analizzarla.

Ora che cosa succede? Succede che lui all’inizio dice: “Sì, ma sta cosa qui… Come faccio a spiegarla?” tanto è vero che la prima tentazione fu “me la tengo per me. Vivo la mia vita e non la spiego a nessuno.” Poi ci sarebbe stato un intervento divino di Brahma e decide di andarlo a spiegare, però… Spiegarlo a chi? Pensa a varie persone, ma alcune di queste erano già morte. Quindi si mette in cammino per raggiungere i cinque asceti che lo avevano seguito per un po’ di tempo, perché vedevano che lui probabilmente era sulla buona strada. Gotama si incammina e cammina talmente sereno, talmente tranquillo. talmente bello che c’è una persona che lo ferma e gli chiede:”Come fai a stare così bene? Hai per caso trovato la soluzione ai nostri problemi spirituali? Chi è il tuo maestro?”

E Gotama offre una risposta che naturalmente non viene capita. Dice: “Ah, mi sono liberato! Non ho maestri, ho trovato la soluzione da solo”, il viandante pensa di aver trovato un arrogante che si crede chissà chi e forma tre pieghe nella fronte, inizia a scuotere la testa su e giù, prende, si gira e va via. Probabilmente ci sono stati altri a cui ha provato a spiegarlo. Nelle varie sutta ci sono discorsi tenuti per 45 anni di predicazione, nelle quali si vede che tutti quelli che erano già iniziati al suo percorso e che quindi avevano già iniziato a meditare dicevano “ah quello di cui ci parli è chiarissimo… è efficace ora, ed è efficace nel futuro, è lampante…” Però con i neofiti, quelli che arrivavano per imparare o per discutere con lui, lui non ha mai trovato una maniera veramente efficace per spiegare “sta’ roba”. È un’esperienza. Io quello che dico sempre è come provare a spiegare di che cosa sa una pera a uno che non ha mai mangiato pere. Se ha già mangiato una pera acerba… Ci può arrivare. Gli dici “Senti quel sapore? Immaginalo un po’ più dolce ed anche la consistenza… un po’ più morbida”.

Però, se non ha mai mangiato una pera, come fai?

Quindi lui scopri che la soluzione al problema della sofferenza non era un’idea, un concetto ma un certo tipo di esperienza che si poteva avere capendo come regolare le proprie condizioni interne per accogliere la realtà che ci capita (ovvero come regolare i dodici anelli dell’origine dipendente per far cessare sofferenza ed insoddisfazione). Questa cosa non la capiva nessuno.

Tornando ai 5 saggi che l’avevano seguito… loro lo avevano seguito ed erano stati intorno a lui mentre lui faceva le rinunce, mentre non mangiava, perché era riuscito a fare periodi di digiuno che nessun altro era riuscito a fare, era riuscito a fare altre cose che sembravano incredibili, ma quando lui a un certo punto ha detto “no… Queste rinunce non sono la strada” ed ha iniziato a mangiare un po’ di riso e un po’ di orzo i cinque lo hanno abbandonato. Hanno detto “questo qui si sta dando al lusso!Ha rinunciato alla ricerca della via, del Dhamma”. Lui, quando li raggiunge, entusiasta dice “guardate, ho trovato la soluzione!” Gli ridice quello che aveva detto a quell’altro che aveva incontrato ed i cinque rispondono “Guarda, noi, perché ti siamo amici e ti vogliamo ascoltare… ma non è credibile… ti sei dato al lusso! Non facevi altro che mangiare! Addirittura più di un pugno di riso e un pugno di orzo al giorno! Altro che rinunce!” Però lui dice “No, ma per favore, datemi la possibilità di spiegare…” fino a che finalmente arriva a questa metafora, la metafora delle Quattro Nobili Verità.

Quindi… che cosa sono le Quattro Nobili Verità?

Che cos’è? È una metafora che era tipica della Medicina Indiana, soltanto che lui inverte il terzo e il quarto passaggio. Perché lui che cosa dice?

“Guardate, prima nobile verità: possiamo constatare tutti quanti che nel mondo c’è sofferenza e/o insoddisfazione”

Possiamo considerare queste Nobili Verità come rivolte a ognuno di noi… voi avete mai provato sofferenza e o insoddisfazione almeno una volta nella vostra vita? Questa qui la diamo per buona… come facente parte della condizione umana.

“La seconda nobile verità: c’è una causa alla sofferenza”

È molto interessante notare che lui quando si è illuminato, quando ha avuto questa esperienza particolare, lui che cosa ha fatto? (ed è riportato in tantissime sutta) Se ne è stato una settimana a godersi e a guardarsi i 12 anelli dell’origine dipendente, ed il fatto che bastava interrompere ognuna di queste 12 condizioni per non soffrire.

Invece qui, nella seconda nobile verità, si concentra solo su due delle cause fra le dodici degli anelli dell’origine dipendente: parla dell’ignoranza e parla del desiderio.

Gli altri dieci anelli li lascia perdere o come secondari o come troppo difficili sui quali intervenire…

Quindi, ripeto, lui pur di farsi capire, ha deciso di semplificare il suo messaggio, anche perché tutti quelli a cui l’aveva detto prima erano andati via.

A questo punto la terza nobile verità è invertita rispetto alla prassi medica indiana. Nella prassi il terzo passo doveva essere dichiarare qual era la cura ed il quarto passo doveva essere quindi la guarigione.

Invece lui dichiara prima come terzo passo, la cessazione della sofferenza.

“È possibile far cessare la sofferenza”

E come quarto passo “la soluzione è l’ottuplice sentiero”.

Per quale motivo questa inversione di passi? Perché il problema che aveva, come vi ripeto, era quello di spiegare il sapore della pera a chi non ha mai assaggiato la pera, cioè era il problema di spiegare un tipo di esperienza a chi ancora non la aveva provata.

Però, in piccolo, noi l’abbiamo provata. Vi chiedo, ora, di riflettere sulla vostra vita. E la domanda è: “è mai capitato che qualche cosa che aveva invaso la nostra mente, cioè che ci causava nervosismo, difficoltà etc. La cosa classica era: la prima cotta al liceo, quella in cui io non faccio che pensare a quella ragazzina, non so che fare quando mi avvicino, sono nervoso, non so che cosa dirle, mi mangio le parole…ce l’abbiamo mai avuto qualche altra esperienza simile? Un’altra mia esperienza, di quando ero ancora più piccolo, e io vivevo a Puerto Rico e venivamo in estate in Italia, perché papà era italiano. C’erano le caramelle Rossana. Ve le ricordate, quelle nella carta rossa, con dentro una specie di crema? Io impazzivo. E dovunque andavo le cercavo e le volevo mangiare, ed era una cosa deliziosa.

Poi naturalmente… Cos’è la cessazione? La cessazione è proprio questo. Vi è mai capitato, che quella cosa che nella vostra vita vi influenzava così tanto, ora non ha più nessun effetto su di voi.

Io ora posso vedere, a parte che non so se esistono ancora, o almeno non le vedo da tanti anni, un cesto pieno di caramelle Rossana e la reazione è “Ok, sì, mi ricordo che un tempo ne andavo pazzo, ma ora non mi fanno più quell’effetto…”

Posso rivedere alcune delle ragazzine per cui avevo una cotta tantissimi anni fa, e non provare più niente. Ed essere in grado di parlarci e di comportarmi come mi voglio comportare senza che ci siano tutte queste emozioni che mi spingono a comportarmi in maniera tali che poi genereranno sofferenza, di cui poi mi vergognerò, che poi genereranno sensi di colpa, di cui poi… bla bla, bla bla.

E quindi io posso, prima di andare a spiegare qual è la cura per avere questa liberazione in maniera più generale, posso andare a far riflettere come terzo passo “Ragazzi. Ma voi ve lo ricordate? Ci sono delle esperienze in cui qualcosa che vi faceva soffrire tribolare, che ora non hanno più effetto?”

Ecco quello che ci dice Gotama è che se seguiamo l’ottuplice sentiero questo senso di cessazione della sofferenza si estenderà a tutto. Questo senso di cessazione dell’insoddisfazione si estenderà a tutto e noi avremo dentro di noi un grande senso di libertà che ci permetterà di comportarci semplicemente d’accordo con i nostri valori più profondi, d’accordo con quel modo di comportarci che noi, quando lo facciamo, sappiamo che qualunque sia il risultato, saremo comunque soddisfatti, di aver fatto quella cosa, di aver provato a fare quella cosa che qualunque sia il risultato, noi staremo bene, perché sapremo di aver fatto qualcosa che è giusta, che è piena d’amore, che è piena di valore.

E non saremo più turbati da tutte quelle cose che oggi ci causano trepidazione e tentazione.

Quelle cose che sono delle manette, che non ci permettono di essere liberi, che non ci permettono di fare ciò che, veramente, nel profondo di noi, vorremmo fare.

Quindi è per questo che lui anticipa, rispetto alla formulazione classica della medicina indiana, il terzo passo invertendolo col quarto passo, perché nessuno di noi è libero, ma tutti noi abbiamo avuto almeno un’esperienza in cui ci siamo liberati dalla sofferenza, in cui quella sofferenza è semplicemente cessata. Non c’è più, è scomparsa. 

E quindi è da quell’esempio che poi posso capire qual è il risultato finale che avrò.

Il quarto passo è un pochino complicato. Per quale motivo? Perché nel quarto passo Lui parla dell’ottuplice sentiero.

L’ottuplice sentiero sono otto discipline che vanno intrecciate fra di loro, che vanno vissute contemporaneamente.

Ricordiamo che Gotama ha individuato vari modi per arrivare alla Liberazione.

Una è la via diretta che è descritta nella Satipattana sutta, che fondamentalmente sono le quattro fondamenta della Mindfulness di cui abbiamo parlato la volta scorsa.

Un’altra è la via graduale che è molto più vicina al discorso dell’ottuplice sentiero in cui si dice prima devi fare i primi due passi dell’ottuplice sentiero (giusta visione e giusta intenzione), dopodiché devi raffinare un pochino il tuo comportamento per avere un comportamento eticamente abbastanza corretto (giusta parola, giusta azione e giusto modo di vivere) e quindi finalmente ti puoi dedicare completamente al percorso della meditazione nella quale devi coltivare il giusto sforzo, la giusta meditazione e la giusta concentrazione. Queste sono le otto discipline. 

In realtà, che questa sia una semplificazione, è chiaro da alcune delle sutta, perché, per esempio, in una si tratta di un criminale, un ladro che uccideva le persone dopo averle derubate che infestava una delle foreste vicino ad uno dei posti dove lui aveva uno dei monasteri.

Ricordiamoci che durante la vita di Gotama, i monasteri non erano monasteri stabili tutto l’anno. Forse c’era qualche monastero stabile tutto l’anno quando lui ormai aveva più di settanta anni, cioè negli ultimi dieci anni di vita. All’inizio erano posti dove si riunivano i monaci durante i monsoni, per tre, quattro mesi all’anno. Perché poi, durante il resto dell’anno, andavano ognuno per conto proprio a fare la vita del Monaco Viandante.

Quindi Gotama in questo caso qui, va da questo criminale, assassino, che sicuramente era privo almeno di giusta parola, giusta attività e giusto modo di sussistere.

In qualche modo Gotama lo convince del suo messaggio. Questo criminale si mette a meditare e diventa subito una Arahant nel giro di pochi giorni.

Cosa vuol dire? Vuol dire che questa gradualità del percorso graduale è una cosa logica da fare, ma non è necessaria.

Se io riesco a meditare, dopo avermi perdonato a me stesso, senza sensi di colpa, perché il problema è riuscire a meditare senza che ci siano quegli elementi di disturbo che non mi permettono di raggiungere gli stati più elevati della meditazione e questi elementi di disturbo in genere sono senso di colpa, vergogna, odio, desiderio, irrequietezza, dubbio, ecc. Probabilmente io li posso anche superare molto velocemente, soprattutto dopo aver incontrato Gotama…

Il percorso graduale è una scelta logica per arrivare al Nibbana, però non è vero che devo fare anni ed anni di progressi lenti e graduali per arrivare. Possono capitare delle cose diverse.

Per esempio, e con molta umiltà, posso raccontarvi una mia esperienza.

Che cosa mi è successo quando ho iniziato a meditare e ad andare in jhana, secondo, appunto, il metodo della TWIM, questo metodo di concentrazione attraverso l’apertura invece che attraverso la concentrazione puntuale?

In meditazione raggiungevo degli stati in cui stavo molto bene e vedevo anche quali erano gli elementi della mia vita che si intromettevano nella meditazione, causandomi un po’ di disturbo nella meditazione. Quindi mentre prima io meditavo per rilassarmi e vivere bene ad un certo punto ho iniziato a vivere un pochino più eticamente, non che prima fossi un mostro, ho smesso di fare nella vita di tutti i giorni quelle cose che si trasformavano in resistenza durante la meditazione, per poter meditare meglio… cioè in realtà è un cerchio dove la meditazione mi fa capire alcune cose della mia vita e la vita mi fa capire alcune cose della mia meditazione.

Alcune cose le vedo meglio in meditazione. Alcune cose le vedo meglio nella vita quotidiana.

Però riesco a riconoscere che cos’è un ostacolo, che cos’è una manetta. Inizio ad avere, non la liberazione assoluta di cui parla Gotama, però inizio ad avere sempre più ampie aree di libertà nella mia vita. Aumentano. Invece di essere tre diventano cinque, e anche se altri ne hanno cento o mille io penso “Va bene… Intanto per me passare da tre aree di libertà a cinque è già una grande conquista, e poi se le cinque diventassero nove… Wow”.

Poco a poco inizio a vedere che alcune cose di cui ero tanto orgoglioso quando la facevo, in realtà le facevo condizionato da una delle manette emotive (paura, ansia, stress, rabbia ecc.)

Le nuove scelte non sono basate su una morale dichiarata, su un codice etico che vado ad abbracciare. Inizio a fare delle nuove scelte nella mia vita, perché vedo con maggior chiarezza come influenzano la mia vita.

È un po’ come quando uno finalmente realizza che mangiare in un certo modo, tre ore dopo, causa un’indigestione. Quando lo vedi con chiarezza, è più facile che smetti di mangiare in quel modo. Fino a che non fai questo collegamento nel corpo mangiare in quel modo è fantastico e non ha controindicazioni. Per il nostro cervello quello che capita tre ore dopo è un evento completamente separato.

Quello che inizia a capitare è che la meditazione diventa un modo per vedere in maniera più precisa certi collegamenti causa-effetto che capitano nella tua vita.

E poi impariamo a vivere la vita in maniera tale da ridurre la frequenza di alcuni di questi collegamenti causa-effetto che portano, diciamo, ad indigestione qualche ora dopo, ed aumentare quei collegamenti che invece portano a vivere in maniera più energica, più sicura, più soddisfacente.

Un altro aspetto importante, e qui chiudo la riflessione di oggi, è che l’ottuplice sentiero è un intreccio di cose da fare insieme, in cui una disciplina rafforza l’altra, e non puoi mai sapere, perché la vita è una sorpresa continua, qual è la disciplina che si rafforzerà di più oggi o che rafforzerà di più le altre, però nella separazione della vita fra vita vissuta e vita meditata l’ottuplice sentiero va vissuto sempre.

Prendiamo le tre parti etiche, giusta parola, giusta azione, giusta sussistenza, cioè giusto modo di vivere. È facile che ci venga da pensare “questo qui si riferisce soltanto alla vita di tutti i giorni e non alla meditazione.”

In realtà non è così. In realtà, anche nella meditazione io devo applicare tutte le discipline dell’ottuplice sentiero.

Durante la meditazione dell’amorevole gentilezza, ad esempio, ci sono momenti in cui provo a coltivare le emozioni gioiose.

Non sto facendo nulla. Sto meditando. Mi arrivano delle distrazioni o delle contrazioni che mi impediscono di rimanere in quello stato gioioso.

Queste distrazioni o contrazioni sono, come detto altre volte, i nostri maestri perché ci dicono quali sono le cose che sono importanti per noi.

Mi spiego: se al commercialista ci penso soltanto quando mi chiama o quando ce l’ho scritto sull’agenda in realtà sto pensando al commercialista quando arriva uno stimolo esterno che mi fa pensare al commercialista; se io sto meditando e mentre medito d’improvviso mi arriva un pensiero “Dio mio! Devo chiamare il commercialista…” ovvero mi arriva il pensiero sotto forma di una preoccupazione. Vuol dire che questa cosa è per me talmente importante che, anche in assenza di stimoli esterni, viene su. Quindi è un qualche cosa che mi sta insegnando cose importanti su di me e su cosa è importante per me: “Perché m’è venuto il pensiero del commercialista e non quello di quell’altra cosa?”

Io devo imparare a come gestirlo. E come lo devo gestire? Se io mi metto a rimuginare sul commercialista, sto smettendo di meditare. La cosa che vi dico sempre: “facciamo le 6 R, ovvero il giusto sforzo, per abbandonare lo stato contrattivo, ritrovare lo stato espansivo e da lì andiamo a vedere quali bisogni insoddisfatti c’erano nello stato contrattivo”

Se però lo vediamo dal punto di vista dell’ottuplice sentiero io, questa pensiero, questa distrazione che mi si è presentata come la devo gestire?

La devo gestire, oltre che col giusto sforzo, anche con giusta parola, giusta azione, e giusto modo di vivere. Cioè non inizio a pensare: “accidenti al commercialista quando mi ricorda che devo pagare le tasse…” che non è la maniera corretta, perché la distrazione nella meditazione diventa ancora più grande.

Quale sarebbe la giusta parola? Quale sarebbe la giusta azione? Quale sarebbe il giusto modo di vivere, relativamente a questa distrazione che mi si è presentata?

E se io riesco a gestire in meditazione dentro le 6R tenendo questo pensiero “grazie distrazione che mi hai ricordato quanto è importante questa cosa” giusta parola. Giusta azione “quando esco dalla meditazione, ci penserò… ora faccio la cosa più importante” e qual è la cosa più importante ora? “meditare e tentare di andare in uno stato che mi permetta, uscito dalla meditazione, di stare il più alto numero di ore possibile con un senso di libertà nel petto. Magari raggiungere la liberazione, ripeto, quello dovrebbe essere sempre l’obiettivo finale.

Quando ci riuscite, ma lo venite a raccontare che così mi spiegate meglio che cos’è. 

Oppure può succedere che in realtà, durante la meditazione, vengano in mente delle “cazzate pazzesche” magari mi vengono in mente cose lasciate a metà… stupidaggini… E quindi questo qui vuol dire che per me, le cose non concluse sono importanti, anche se l’episodio specifico è stupido.

Sto scoprendo che lasciare le cose a metà, è un qualche cosa che mi turba, mi turba perché per me è importante non lasciare le cose a metà. Non è più il singolo evento importante, ma l’abitudine.

Durante la meditazione, non dobbiamo iniziare a riflettere, perché se riflettiamo, smettiamo di meditare. Ci riportiamo nelle emozioni gioiose perché quando siamo nelle emozioni gioiose è facile che con questo substrato emotivo, si riesca a vedere quelle situazioni in modo diverso e possa emergere l’intuizione, l’insight. Poi quando usciamo dalla meditazione, possiamo riflettere su cosa è capitato nella meditazione. Alcune cose sono strane. Altre cose ci illuminano.

Se siamo nelle emozioni delle 4 Brahmaviharas, amorevole gentilezza, compassione, gioia condivisa ed equanimità, siamo dentro uno stato emotivo in cui è molto più facile vedere delle soluzioni che non riusciremo mai a vedere finché siamo nella fretta, nella rabbia, nell’ansia.

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