Mindfulness, jhana e l’ottuplice sentiero

Presentazione del corso. L’ottuplice sentiero dal punto di vista della TWIM (Tranquil Wisdom Insight Meditation)

Trascrizione della presentazione tenuta domenica 8 gennaio 2023 alle 11.

Per registrarvi su zoom e ricevere il link per seguire le sessioni gratuite sulla TWIM che si tengono tutte le domeniche dalle 11 alle 12: https://zoom.us/meeting/register/tJcqceGpqzoiGNGSp-CDxt4kRkEdc1k_t7zJ

Premessa: la meditazione, come la danza, va provata e riprovata

Va bene, allora iniziamo? È domenica. È anche la presentazione di un corso  sulla meditazione, così come ci viene proposta direttamente nelle sutta originali, cioè nei discorsi originali, di Gotama così come ci sono stati tramandati.

Il  corso si svolgerà i giovedì sera e sarà estremamente pratico: solo la meditazione, proprio per evitare che, spiegando la teoria, mi dilunghi così tanto da non avere più tempo di affrontare la  pratica. Invece il giovedì va dedicato solo alla pratica per lo stesso motivo che in un corso di danza bisogna provare a danzare. E la teoria, la storia, tutto ciò che ha a che vedere con la danza a livello concettuale si può lasciare ad altri momenti perché probabilmente l’unica cosa che fanno i concetti è confondere le idee. In un corso di danza è importante che ci mettano alla prova per muovere i passi. Che ci correggano e ci guidino:

“Ok, non così. Prova a fare in questa maniera… no un pochino più di lato…”.

Con un corso pratico c’è la speranza che si riesca ad imparare veramente come si danza.

E la stessa cosa capita con la meditazione che è una cosa estremamente semplice da fare ed estremamente difficile da spiegare.

La meditazione presentata nelle scritture originali è una meditazione un pochino diversa da quella che ci viene presentata oggi come oggi, nella maggior parte dei corsi. Per quale motivo? Prevede di raggiungere alti livelli di concentrazione grazie al coinvolgimento nella nostra consapevolezza di più ancore contemporaneamente. Inoltre l’obiettivo è il raggiungimento del Nibbana e la trasformazione della personalità.

              Prendiamo cosa dice Gotama in uno dei discorsi della Majjhima Nikaya (MN) 149 .

Dopo aver parlato di una serie di cose ad un certo punto dice “E quando uno riesce a fare finalmente questo la visione della persona sarà giusta visione. La sua intenzione, giusta intenzione. Il suo sforzo, giusto sforzo. La sua mindfulness, giusta mindfulness. La sua concentrazione, giusta concentrazione.

Naturalmente le sue azioni corporee, le sue azioni verbali e il suo modo di vivere saranno già stati purificati prima. Quindi il nobile ottuplice sentiero si compirà completamente nel suo sviluppo e quando si è in grado di tenere insieme, sviluppare insieme l’ottuplice sentiero, le 4 fondazioni della mindfulness, i 4 giusti tipi di sforzo, le 4 basi del potere spirituale, le 5 facoltà del percorso verso il Nibbana, i 5 poteri e i 7 fattori di illuminazione, anche questi si saranno sviluppati.

Quando uno riuscirà a fare tutto questo, riuscirà a coltivare insieme sia la mindfulness che la concentrazione. A questo punto gli sarà facile arrivare al Nibbana…”, una lista del genere può generare sconforto… “Non ce la farò mai.. Devo fare insieme tutta sta roba e quando le coltivo tutte insieme, a quel punto, con mindfulness e concentrazione accoppiate… semplicemente arrivo al Nibbana?”

Fra l’altro, questa è un’altra cosa che è difficile da spiegare. Che cos’è il Nibbana? Quando ci arriviamo, poi lo vediamo, ma prima di arrivarci è un po’ come tentare di capire quale sia il sapore delle fragoline di montagna per uno che non le ha mai provate.

Naturalmente, è molto semplice riconoscerle per uno che le ha assaggiate: gli chiudi gli occhi e gliele fai assaggiare. E lui le riconosce subito. È facilissimo riconoscerle, come per uno che sa andare in bicicletta o che sa ballare è facile spiegare come fare alcune cose specifiche a chi già sa andare in bicicletta o a chi sa già ballare.

Ma provare a spiegare come andare in bicicletta a un neofita è difficilissimo. Potremmo spiegare “nel momento in cui riesci a mantenerti perfettamente in equilibrio, devi muovere contemporaneamente le braccia e le gambe in maniera armonica e allo stesso tempo tenere il volante mentre mantieni la direzione della strada…” Se dopo questa spiegazione un neofita riesce ad andare in bicicletta… beh, complimenti!

Naturalmente. Siccome io poi ho questo difetto che amo la teoria, tutte le domeniche presenterò la parte di teoria legata alla pratica che faremo il giovedì. Ma questa è opzionale. È come dire, in un corso di danza: “ragazzi, la domenica faremo un po’ di storia della danza e un po’ di teoria.” È interessante, ma è opzionale.

Meditare come descritto nelle fonti originali: le Sutta in Pali

Un altro aspetto importante che ha a che vedere con quello che è capitato con la meditazione buddista è che, siccome vanno coltivate e tenute insieme tutte queste cose, ma è molto più facile spiegarle una alla volta, alla fine è capitato che i vari aspetti siano stati separati dalla tradizione didattica.

Inoltre oggi come oggi, nel 99% del mondo buddista, non si studia la meditazione direttamente dai discorsi originali di Gotama ma da un riassunto realizzato 1000 anni dopo la morte di Gotama.

Le sutta sono una raccolta di 45 anni di discorsi: Gotama  s’è liberato a 35 anni ed è morto a 80. Le raccolte dei discorsi sono una libreria, non un libro. Non è come per noi cristiani, o cresciuti da cristiani, che abbiamo un Vangelo dove vengono raccolti i fatti di 3 anni. Fra l’altro di quei 3 anni di predicazione il Vangelo tenta di selezionare solo i fatti più importanti.

Nel Buddismo c’è stato un tentativo di raccogliere tutti, ma proprio tutti, i discorsi fatti in 45 anni, tanto è vero che ci sono tantissimi discorsi che vengono riportati e che si distinguono l’uno dall’altro   soltanto per 5 o 6 parole perché, probabilmente, quando andava ad insegnare la stessa cosa tentava di insegnarla come aveva già funzionato… Però poi qualche parola la cambiava e sono state riportate le varie versioni con le piccole modifiche di poche parole.

Orientarsi fra tutti questi discorsi è difficilissimo, per cui circa 1000 anni dopo la morte di Gotama, c’è stato un importante studioso indiano, Buddhagosa, che ha scritto un Manuale di Meditazione il “Visuddhimagga” in cui ha riassunto in un unico testo tutte le istruzioni… potremmo dire che inventò il Bignami della meditazione.

Cioè ha preso tutto quello che era stato detto e lo ha sistematizzato. In realtà ha interpretato, anche alla luce della sua esperienza personale, e lui era un bramino. Cioè era cresciuto nella religione pre-induista e come tale è stato iniziato alla meditazione.

Coerentemente con i principi della meditazione che era stata insegnata al Buddha, ma diversamente da ciò che Buddha poi aveva inventato, ha separato in discipline diverse e parallele l’ottuplice sentiero trasformandolo in otto cose diverse da fare, dove potrebbe capitare di eccellere in una disciplina ed essere scarso in un’altra. Questo non è quello che emerge chiaramente dalle scritture originali, dove l’ottuplice sentiero viene rappresentato come un specie di corda creata dall’intreccio di otto fili più fini,  e quindi in un qualche cosa che sí sono cose separate, ma molto difficili da separare fra di loro.

E poi, a quel punto, per riuscire a giustificare questa separazione, ha trasformato le pratiche di concentrazione nelle pratiche induiste di concentrazione che hanno quale caratteristica principale quella di perseguire una concentrazione puntuale. Io devo imparare a concentrarmi su un punto detto Nimitta ad esempio sulla punta di questa penna. E devo riuscire ad arrivare ad un livello di concentrazione che escluda dalla mia consapevolezza tutto il resto. Tramite questa pratica riesco a raggiungere stati corrispondenti ad altissimi livelli meditativi che vengono chiamati jhana, che le neuro-scienze d’oggi ci dicono siano stati di esaltazione delle varie emozioni sociali: curiosità, gioia e giocosità, affettuosità, generosità, soddisfazione, equanimità, compassion, eccetera, e come tale facilitano, poco a poco, la trasformazione della personalità che mi porterà ad accogliere la vita in maniera più serena, più tranquilla, più felice qualunque cosa mi capiti perché sarà sempre più ampio lo spettro di situazioni in cui si attiveranno queste emozioni e in cui io riuscirò a dare significato alla mia vita. Questo è il meccanismo della neuro-plasticità: più faccio una cosa, più il mio cervello impara a fare questa cosa; più la faccio intensamente, più il mio cervello si predispone a rifarla.

Ora, qual è il problema? Il problema è che questo tipo di concentrazione è un tipo di concentrazione che esisteva già ai tempi di Gotama. Tanto è vero che Gotama, si reca, prima  della liberazione, da due grandi maestri che gli insegnano ad arrivare in quelle che noi oggi chiamiamo settima e ottava jhana (MN 26 e MN 36). E lui abbandona questi maestri perché dice: “Queste meditazioni qui non portano alla trasformazione della personalità.”

Nel senso che portano ad una trasformazione della personalità molto lenta, perché se io, per riuscire ad andare in questi stati di esaltazione, devo essere talmente concentrato sulla Nimitta da escludere dalla mia consapevolezza tutto il resto del mondo, sono in una condizione, in cui qualunque rumore, qualunque suono, qualunque odore improvviso, qualunque disturbo mi allontanerebbero da questo stato. Quindi per raggiungere questi stati di esaltazione dovrei essere in una condizione di isolamento da tutto e da tutti che è molto lontana dalle condizioni della vita di tutti i giorni.

Questa concentrazione puntuale non è compatibile con un giusto modo di vivere, con un giusto modo di agire o di parlare.

Lo stato di concentrazione estrema è qualcosa che non avviene all’interno della mia vita di tutti i giorni che, invece, dovrei condurre nel rispetto dell’ottuplice sentiero.

L’altro aspetto di rilievo è che quando io ho queste botte di gioia, queste botte di amore, queste botte di pace interiore, di tranquillità, eccetera, che portano ad una trasformazione del mio cervello,  questa trasformazione all’inizio si verifica soltanto nel momento della meditazione; una volta chiusa la meditazione torno ad essere invaso da tutti i sensi, da tutta la complessità della vita, mi trovo in una condizione talmente lontana da quelle trovate in meditazione che il mio cervello non le riconosce come condizioni di innesto per queste emozioni espansive.

Fra l’altro la namitta è un qualche cosa che nei discorsi originari di Gotama viene nominata solo due volte e tutte e due le volte viene nominata con il chiaro significato di “un segnale”, cioè non che io mi concentro su un segno ovvero su una cosa ben precisa, ma che mentre sto meditando, può capitare che mi si presenti davanti un segnale: sono due cose completamente diverse.

Infatti, che cosa succede nelle sutta originali?

I jhana nella TWIM richiedono una concentrazione aperta e sono trasformativi

Gotama arrivava, spiegava come si meditava e qualche giorno dopo c’era qualcheduno che nel giro di una settimana o addirittura nel giro di 2/3 giorni immediatamente arrivava in contatto con questa cosa che viene chiamata il Nibbana, e si liberava, e aveva una vera e propria trasformazione della personalità:

– non aveva più facilità ad arrabbiarsi;

– non aveva più facilità a provare desiderio sessuale;

– non aveva più facilità a dire bugie.

Tutte queste cose qui gli venivano difficili. Perché? Perché provavano repulsione verso questi stati d’animo e d’improvviso riuscivano ad essere sempre sereni, sorridenti, tranquilli, affettuosi, compassionevoli. Questo è un qualche cosa che, con la meditazione proposta da Buddhaghosa si verifica solo dopo anni ed anni di pratica.

Quando gli occidentali hanno iniziato ad andare in grandi numeri in Vietnam, in Cambogia, in Ceylon, in India, per imparare a meditare, soprattutto dagli anni 60/70 in poi, diversi gruppi di occidentali sono andati a ricercare le fonti originali, cioè i discorsi in Pali in cui veniva presentata la meditazione e in particolare, la concentrazione; ed è venuto fuori, appunto, che era molto diversa da come veniva insegnata tradizionalmente e quindi in diversi hanno tentato di ricreare dei metodi di meditazione che fossero coerenti con le scritture originali. È un po’ quello che è capitato nel nostro mondo vicino Perugia, ad Assisi, che ad un certo punto di fronte ad una chiesa incredibilmente ricca, incredibilmente ritualizzata, è venuto fuori San Francesco d’Assisi che ha detto “ma il vangelo diceva una cosa diversa!”. Cioè, capita sempre nella storia, che quando ci sono delle cose che vanno in una direzione che non torna con i discorsi originali, che qualcheduno punti il dito per gridare “il re è nudo!”. Sono nate, almeno che io sappia, tre modalità differenti di arrivare in Jhana in maniera molto più coerente con la modalità descritta nei testi originali.

Di queste quella che a me piace di più è quella proposta da Bhante Vimalaramsi: si chiama TWIM e secondo me, veramente va a sposarsi con l’intenzione originale di creare questa grande concentrazione di apertura. Per quale motivo? Perché io posso arrivare ad un livello estremo di concentrazione in due modalità diverse:

– una è attraverso questa concentrazione estrema su un oggetto, fino ad escludere tutto il resto.

– l’altra modalità è quella di rimanere talmente aperto da essere contemporaneamente consapevole del mio respiro, del mio corpo, delle mie sensazioni, delle mie emozioni, dei miei pensieri, di quello che sta capitando nel mondo.

Se riesco a essere contemporaneamente consapevole di tutte queste dimensioni succede che in realtà raggiungo un livello di concentrazione elevatissimo, perché comunque sto facendo uno sforzo estremo, soltanto che invece che essere uno sforzo di chiusura, è uno sforzo di estrema apertura: è un po’ come se prendessi 10 palline e le iniziassi a tirare per aria e riprendere come fa un giocoliere… se lo faccio io, cadono tutte e dieci, però se lo fa qualcuno che ha imparato a farlo deve comunque farlo con concentrazione. Ed è una concentrazione diversa perché non è una concentrazione puntuale in cui ho bisogno di silenzio e di assenza di distrazioni, ma una concentrazione che accoglie qualunque cosa capiti nell’ambiente per continuare a coltivare l’intenzione di fare la cosa che si sta facendo. È la concentrazione che abbiamo nella nostra vita di tutti i giorni quando dobbiamo fare tutte insieme una serie di azioni coordinate e farle bene: per danzare dobbiamo essere completamente immersi nella musica, oppure per andare in bicicletta dobbiamo essere completamente immersi nella simbiosi con il mezzo meccanico e con il percorso che stiamo facendo. Nel momento in cui ci distraiamo o sbagliamo il passo di danza, o cadiamo dalla bicicletta.

Quindi qual è il vantaggio di questa concentrazione raggiunta con l’apertura mentale?

Prima di tutto che è molto più simile a quella che abbiamo nella nostra vita di tutti i giorni. Passare dalla felicità che riusciamo a provare meditando a provare più frequentemente felicità nella vita di tutti i giorni è più facile, più naturale. È un passaggio molto più veloce. Un passaggio normale.

Sati il mio co-docente

Per chi non mi conosce vi rivelo che io ho un cane che in questo momento è stranamente silenzioso, ma che in genere, proprio quando inizio a guidare le meditazioni via zoom, inizia a tentare di scavare il parquet creando rumori fastidiosi. Dico sempre che lui è il mio co-docente. Per quale motivo? Perché quando si medita, anche se in sottofondo c’è un rumore fastidioso, è importante riuscire ad accogliere tale rumore e riuscire a rimanere nella emozione virtuosa.

Noi, nella vita di tutti i giorni, avremo magari non un cane che tenta di fare un buco nel parquet ma altre situazioni che potrebbero essere considerate fastidiose. Se non riusciamo ad accoglierle se non riusciamo ad includerle nel nostro stare bene, non riusciremo mai a stare bene nella vita di tutti i giorni.

Quindi la concentrazione aperta è un modo di meditare che è molto più vicino alla vita di tutti i giorni, e permette di riconoscere più frequentemente le condizioni adatte a coltivare emozioni espansive e ciò non è che porta immediatamente alla trasformazione completa della personalità, ma inizia ad aumentare i momenti della vita di cui uno sta bene, in cui uno, supportato dalle emozioni espansive, riesce a mettere in atto un’azione saggia.

L’azione saggia diventa sempre più frequente

Considero saggia quell’azione che poi non causa pentimenti, sensi di colpa, rabbia, paura, ansia, desideri che mi faranno soffrire e così via.

È un’azione che mi fa star bene mentre la faccio.

Se ci ripenso, mi riporta il sorriso sulle labbra.

Ed aumentare i momenti in cui io faccio questo è semplicemente bello. Una cosa che vale la pena di fare.

L’altro argomento importante è: che cos’è la mindfulness nelle scritture originali?

La possiamo considerare semplicemente un allenamento alla vita, ed in particolare alla osservazione di che cosa ci fa soffrire, di che cosa ci fa star bene, ora, in questo momento.

Faccio un esempio. Ora sto bene ed arriva un messaggio su Whatsapp. Il commercialista mi ricorda qualcosa che devo fare; in genere è un qualcosa che mi causa sofferenza.

Poi, dopo mi alzo, ho in mente il desiderio di prepararmi per pranzo una pietanza specifica che mi fa venire l’acquolina in bocca. Apro il frigorifero e mi rendo conto che questa aspettativa non può realizzarsi, perché manca un ingrediente essenziale. Aghh!

Poi invece arriva una telefonata da mia madre. Io sono contento di riceverla e torno a stare bene.

Poi mia madre mi dice: “Eduardo, ma ti sei ricordato di…” E io mi rendo conto che me ne sono dimenticato e di nuovo sto male… cioè che cosa capita? che noi siamo sollecitati da una serie di cose che capitano all’esterno di noi stessi e che possono causare gioia, tristezza, rabbia, paura, ansia, eccetera. E in un certo senso, se qualcuno ci conosce bene, siamo perfettamente manipolabili perché chi ci conosce bene, se vuole, se non è un vero amico, può pensare:

“ Ora che ti faccio provare? Rabbia… ora ti faccio provare desiderio e ora, invece, ti do un po’ di affetto…”

E se noi reagiamo esattamente secondo le previsioni di quella persona vuol dire che siamo perfettamente manipolabili.

Nella meditazione, fondamentalmente, i segnali esterni vengono ridotti. Per cui quello che ci arriva sono semplicemente i segnali che la nostra mente genera.

Io sto meditando. Sto nella gioia, nella felicità. Sono sorridente. Sto bene. E d’improvviso, quindi mi viene in mente… “in frigorifero ci sarà quell’ingrediente di cui ho bisogno a pranzo?”

Se mi viene in mente questa distrazione, che per fortuna una distrazione così non m’è mai venuta, che cosa vuol dire? Vuol dire che questo è qualcosa di importante per me. E quindi io sto imparando a conoscermi.

In assenza di stimoli quali sono le cose che per me sono importanti? Sono quelle che mi appaiono.

Sia quelle che mi fanno stare meglio nella meditazione, sia quelle che mi fanno stare male nella meditazione.

E io, dentro la meditazione, devo imparare a fare due cose:

– Imparare a coltivare ciò che mi fa star bene per continuare a stare sempre meglio e possibilmente raggiungere questi stati di grande gioia, grande affetto, grande soddisfazione, grande equanimità grande compassione, che sono i jhanas.

– Oppure, se arriva una distrazione che mi allontana da questi stati, che mi fa venire delle preoccupazioni, devo saper allontanare questa distrazione senza causare ulteriore sofferenza, ma tentando di farlo in una maniera che mi riporti nelle sensazioni gioiose col sorriso, con tranquillità, con quello che viene chiamato giusto sforzo.

Questo allenamento a tornare col sorriso alla situazione espansiva per poi magari da lì, andare a guardare quali erano i nostri bisogni che venivano violati dalla situazione che ci ha fatto soffrire permette di fare emergere degli insight, delle “intuizioni”, che risolvono in maniera innovativa la situazione.

Vediamo con chiarezza che abbiamo due modalità di pensiero completamente diverse:

– Quando rimuginiamo, quando stiamo male, quando siamo consapevoli che le cose non funzionano, nelle quali ci poniamo mille domande… “allora come posso fare? Quale opzione scegliere? Cosa sarà meglio?”…

– Quando siamo nelle emozioni gioiose, invece, non ci pensiamo ed arriva l’intuizione… Non ci pensiamo… ed arriva l’insight. In realtà non è vero che non ci pensiamo, ma stiamo pensando in una maniera completamente diversa, in una maniera sorretta dal benessere, dallo stare bene e dal non concentrarci sui concetti ma sul concentrarci sulla totalità delle informazioni che abbiamo a disposizione, dove alcune sono verbalizzabili e altre no.

Perché noi sappiamo andare in bicicletta, ma non lo sappiamo spiegare. È soltanto quando siamo in grado di valutare tutto quello che capita, mentre andiamo in bicicletta, quindi sia i movimenti sia le parti che riusciamo a concettualizzare sia gli sforzi che sentiamo, che ci può venire un’ispirazione su come gestire meglio la prossima volta che affronteremo quella curva.

La nostra vita è una vita che dobbiamo affrontare con un approccio molto più simile a quello che usiamo quando dobbiamo fare delle cose, come andare in biciclietta, piuttosto che quando pensiamo  a livello concettuale, estraendo ed estraniando il concetto da tutto il resto del contesto in cui siamo.

Ed è per questo che quando io insisto solo a pensare spesso e volentieri entro in rimuginio, in un circolo vizioso di pensieri che non mi porta alla soluzione.

Ecco, queste sono le cose che andremo a vedere in questo corso.

Un corso all’interno del quale vedremo che questo ottuplice sentiero riguarda discipline che noi possiamo applicare alla meditazione e alla vita di tutti i giorni.

Perché anche nella vita di tutti i giorni soltanto se io sono perfettamente presente, soltanto se aspetto prima di concettualizzare, soltanto se ascolto fino in fondo, soltanto se noto quando nasce la sofferenza e quando invece nasce il benessere posso agire in modo saggio.

E questo può far nascere un nuovo ricordo che mi fa sorridere, intorno al quale far emergere un nuovo momento di meditazione, che poi mi porterà a stati elevati di jhana e così via.

Quindi questo fondamentalmente è quello che propongo di fare in questo corso.

Le domeniche affronteremo la teoria in maniera gratuita. I giovedì affrontiamo il ballo ed impariamo a ballare.

Per motivi didattici, è ovvio, affronteremo le cose una alla volta.

Però non è questa l’idea. L’idea è di mettere tutto insieme da subito, ed ogni volta integrare sempre di più.

Gli incontri del giovedì dureranno un’ora e mezza. Tipicamente nella prima mezz’ora faremo degli esercizi per capire esattamente che cosa vuol dire applicare la giusta intenzione nella meditazione oppure la giusta visione, a seconda dell’argomento specifico della giornata, una seconda mezz’ora nella quale tenteremo di integrare questo elemento nel nostro modo di meditare. Vi sarà poi un’ultima mezz’ora in cui parleremo di come è stata l’esperienza, di quali difficoltà si siano presentate nella pratica, di come possiamo tentare di superare queste difficoltà.

Domande e Risposte.

Cinzia: Mi piace molto l’idea di un percorso incentrato di più sulla pratica, perché è l’aspetto di cui  sento di aver più bisogno. Mi chiedo quale sia poi, praticamente, la differenza rispetto alla meditazione, così come l’ho conosciuta nelle precedenti esperienze con te.

Eduardo: Se hai meditato solo con me cambia poco: mi sono sempre inspirato a questi metodi che portano verso una concentrazione di apertura. Anche perché  i miei principali maestri degli ultimi anni vanno verso la coltivazione di quest’apertura anche se seguono approcci completamente diversi.

Judson Brewer, è un neuroscienziato. È quello che ha studiato, come la Mindfulness agisca sul cervello probabilmente nella maniera più approfondita di tutti.

È quello che ha scoperto che il default network si attiva in certe situazioni e si deattiva in altre situazioni, in particolare quando si medita, e lui, proprio osservando il risultato dei suoi esperimenti, propone un percorso di apertura totale della consapevolezza.

Tant’è vero che lui sostiene che in realtà la concentrazione che dovremmo raggiungere alla fine, quando siamo nel Nibbana, sarebbe fondamentalmente come vivere continuamente in flow, nel flusso. L’altro docente per me importantissimo che fra l’altro ho conosciuto tramite una triangolazione strana sempre tramite Judson Brewer, nel senso che Brewer mi ha indicato un altro docente, e quest’altro docente stava insegnando insieme a quest’altra persona che era discepolo di Bhante Vimalaramsi, l’inventore della Twim, che è questo modo di andare in jhana tramite l’apertura.

Bhante Vimalaramsi è un monaco americano che ha meditato per più di 30 anni, insegnando questo metodo. In realtà, il modo di insegnare di Judson Brewer finisce fondamentalmente dove inizia il modo di insegnare di Bhante.

Judson insegna ad usare la Mindfulness per superare quelle abitudini che creano dipendenza, invece Bhante è molto interessato a come la Mindfulness porti ad una liberazione completa, cioè non semplicemente ad una liberazione di quei comportamenti che noi consideriamo vizi o dipendenze, ma da tutte quelle cose che ci fanno soffrire.

Faccio un esempio che uso spesso e che altri mi hanno detto essere utile. Noi abbiamo un sacco di abitudini nella nostra vita, ma non tutte ci fanno soffrire. Io ho imparato la mattina ad allacciarmi le scarpe… Torna come esempio semplice? Da quando ho imparato ad allacciarle bene, perché i primi 2 anni, quando avevo 7 – 8 anni non sempre mi funzionava, non mi ha comportato nessun tipo di sofferenza.

Quando può portare sofferenza questa cosa qui? Quando continuo a farla in maniera automatica in situazioni che non sono idonee.

Per esempio quando giocavo a calcio negli anni ’80 il laccio delle scarpe da calcio era molto lungo perché poi la parte lunga del laccio doveva poter fare alcuni giri della caviglia per tenere fermo il parastinchi. Solo dopo aver fatto un paio di giri intorno alla caviglia si doveva fare il nodo. L’idea era che i calci dovevano andare sul parastinchi e non sulla gamba.

Ora, a me capitò che la prima volta che giocai in campi veri con l’erba e, quindi, con vere scarpe da calcio fu quando avevo 18 – 19 anni. Ero ignaro del motivo per cui i lacci erano cosi lunghi. Non chiesi a nessuno. Quindi allacciai male le scarpe, senza usarli per tenere fermo il parastinchi. I fiocchi erano talmente lunghi che rischiavo di inciampare correndo, e quindi creare sofferenza. Inoltre, il parastinchi non è che stava così bello fermo e quindi mi dava anche fastidio.

Quindi a un certo punto tolgo i parastinchi e dopo un po’ ricevo un calcio. Sento tanto male. Quindi che cosa succede? Che quando una abitudine non la cambio per adeguarla alla situazione reale che si è creata nella vita, rischio di soffrire.

E infatti, che cosa ci dice Gotama? La sofferenza dipende dall’ignoranza o dal desiderio, e in realtà anche da altre cose, ma questo le vedremo meglio nel corso .

Che cos’è l’ignoranza? Non è solo non sapere le cose, ma anche usare una nostra abitudine in situazioni in cui non va usata, è il non essere in grado di adeguarsi perfettamente al contesto.

Un altro esempio.

Io sono abituato a salutare tutte le persone in maniera molto formale, molto cortese, però mi ritrovo a Harlem, questo mi è capitato quando avevo 19 anni, in mezzo ad un gruppo di persone con un livello di educazione molto basso e con un livello di aggressività molto alto. Probabilmente salutarli in maniera molto formale porterà l’unico risultato che all’epoca portò: che mi iniziarono a prendere in giro e si avvicinarono tutti in cerchio e la situazione mi faceva paura, ovvero mi causò sofferenza.

Poi io, per fortuna, mi sono ricordato che la mia prima lingua fosse lo spagnolo (dagli 0 ai 6 anni ho vissuto a Puerto Rico) e ho iniziato a parlare in spagnolo, a dire che io sono uno di voi eccetera e la questione si è risolta. Però se bloccato dalla paura non avessi tirato fuori questo e mi fossi limitato a questo saluto formale a persone che vedevano un saluto formale come un segno di debolezza, la situazione avrebbe portato ancora più sofferenza.

Quando noi impariamo a stare nella situazione così com’è, prima di tirare fuori il comportamento che l’abitudine in automatico ci dice di tirare fuori già lì stiamo riducendo tutte quelle situazioni in cui poi dopo avremo senso di colpa, vergogna e soffriremo rabbia, paura, ecc.

Perché stiamo imparando a comportarci nella maniera più saggia possibile dato il contesto e date le nostre competenze, abilità, eccetera.

Mario: E se posso aggiungere una cosa, sempre rispetto alla domanda di Cinzia e a quello che dicevi tu poco fa nella presentazione a proposito della corda. La mia idea, che poi è una mia aspettativa su questo corso, è che l’ottuplice sentiero è un po’ come lo Scooby Do… vi ricordate? E funziona nei due sensi.

Cinzia chiedeva, rispetto alle altre esperienze di meditazione. Che cosa c’è in più? Che cosa può esserci? Che cosa ci sarà cosa? La mia idea, che poi è un’aspettativa, è quella che se l’ottuplice sentiero è un percorso immagino che nel corso della meditazione che faremo i giovedì, partendo dalla presentazione, che faremo la domenica, esamineremo i singoli elementi, cioè i singoli pezzi di questo sentiero, poi nella meditazione vedremo come può essere integrata all’interno della meditazione mano a mano che la corda si ispessisce che poi, alla fine ci metterà in una condizione normale di poter avere quell’apertura a comprendere sempre tutto avendo integrato tutti insieme gli ottuplici passaggi.

Eduardo: Grazie, vorrei aggiungere che sempre legata a questa cosa qui è che in genere io negli altri corsi ho insistito molto sull’integrazione degli ultimi tre elementi dell’ottuplice sentiero cioè il giusto sforzo, che noi spesso indichiamo come le 6 R, la meditazione ed il fatto che mantenendo il giusto sforzo durante la meditazione si possono raggiungere anche livelli di concentrazione che si chiamano jhana. Infatti vi ricordavo sempre: se provate qualcosa di particolare, avvertitemi perché dobbiamo vedere se è stata una jhana oppure qualcos’altro.

Ecco, in realtà questa qui é una semplificazione didattica per arrivare subito a provare qualche cosa.

Però se io non ci metto dentro, anche la giusta visione, la giusta intenzione. Il giusto modo di parlare, ma anche con me stesso, perché, per esempio, quando si dice giusta parola, o retta parola, si pensa sempre a situazioni sociali ma la retta parola è anche verso me stesse e quando io sto meditando quali sono i treni di pensieri che devo continuare a coltivare e quali sono i treni di pensieri che invece costituiscono distrazioni, costituiscono resistenza alla meditazione, che quindi devo mettere da parte e abbandonare per tornare a coltivare le emozioni gioiose, cioè in realtà è tutto un’integrazione che avviene sia nella vita di tutti i giorni, sia nella meditazione.

Quindi andremo ad approfondire dei dettagli che in corsi introduttivi di meditazione, erano superflui, non nel senso che erano veramente superflui, ma nel senso che avrebbero creato troppa confusione.

Il corso può andare bene anche per principianti, però, per chi già sa alcune cose, ci sono nuovi elementi da integrare in modo tale che le ricadute sulla vita di tutti i giorni diventino sempre più evidenti.

Stefano: Mi piacerebbe che ci si soffermasse sulle due differenti forme di desiderio.

Eduardo: Ovviamente andremo a parlare anche di che cos’è la tanha e di che cos’è la chanda.

E questo qui lo andremo a toccare in più punti, sia nella giusta visione sia nella giusta intenzione sia nel nella giusta parola. Perché? Perché quando noi parliamo mettiamo in parole ciò che abbiamo concettualizzato. Quindi la creazione di un pensiero è un dialogo interno. E la parola deve essere giusta parola, alimentata da una giusta intenzione.

(continua…) Come si medita